Terzo viaggio in Albania e terza bocciatura. Igiudici della Corte di Appello di Roma hanno deciso di non convalidare i trattenimenti dei 43 migranti rinchiusi nei centri costruiti dall’Italia in Albania. E come fatto in precedenza dalla sezione immigrazione del tribunale civile, di rinviare gli atti alla Corte di giustizia europea. Già domani, su mezzi della Guardia Costiera, i migranti faranno ritorno in Italia.
Il terzo no, tutt'altro che inatteso viste le motivazioni precedenti, all'ennesima forzatura del Governo Meloni che ha voluto aggrapparsi ad una sentenza della Cassazione che affidava sì ai ministri il compito di stilare la lista dei paesi sicuri, ma anche ai giudici il dovere di verificarne la validità rispetto ai migranti e i rinvii pregiudiziali pendenti davanti alla Corte di giustizia europea. Le udienze per la convalida dei trattenimenti erano iniziate nella prima mattinata di oggi, in videoconferenza. Sei magistrati della Corte d'appello di Roma, provenivano dalla sezione immigrazione del tribunale civile chiamata a decidere nelle due volte precedenti, ma nell'occasione esautorata dal governo attraverso una modifica del codice di procedura penale, nella speranza di ottenere un pronunciamento diverso.
“Il giudizio – si legge nel provvedimento firmato dai magistrati - va sospeso nelle more della decisione della Corte di Giustizia. Poiché per effetto della sospensione è impossibile osservare il termine di quarantotto ore previsto per la convalida, deve necessariamente essere disposta la liberazione del trattenuto, così come ha ripetutamente affermato la Corte Costituzionale in casi analoghi”.
Nel centro di Gjader, dei 49 migranti arrivati martedì scorso a bordo di una nave militare italiana, ne erano rimasti 43, dopo che sei di loro erano stati ritrasferiti in Italia perché minorenni o vulnerabili. Immediate le reazini politiche, anche queste attese. Le prime che arrivano dalla maggioranza se la prendono con i magistrati accusati di volersi sostituire alla politica, mentre le opposizioni parlano di operazione propagandistica e fallimentare del governo, con costi elevati a carico dello stato.